DAZI, STRATEGIA O FOLLIA/ L’arma politica di Trump circonda gli Usa di “nemici” e non fa ricchi gli americani

Sono entrati in vigore molti dei dazi decisi da Trump, anche in una logica punitiva, che non sembrano aiutare gli Usa
Martedì dovrebbero entrare in vigore i dazi imposti all’Unione europea. Inutile minimizzare è avvenuto cambiamento radicale della politica commerciale americana pari a quello del 1934, ma persino peggiore perché allora l’economia mondiale non era globalizzata, la catena della manifattura e del valore era ancora in gran parte nazionale. Prima della svolta protezionista in media le merci che circolano per il mondo erano tassate del 2-3%, oggi la media supera il 20%, come nel 1910, è evidente la portata della mazzata di Trump.
La mappa delle tariffe è un puzzle dove i vari pezzi non combaciano. Le stangate più dure sono toccate alle merci provenienti da Brasile (50%), Laos (40%), Myanmar (40%), Svizzera (39%), Iraq (35%) e Serbia (35%). Altri 21 Stati sono soggetti a imposte superiori al 15%.
Tra questi figurano diversi Paesi da cui gli Stati Uniti dipendono fortemente per una varietà di beni, come Vietnam (20%), India (25%), Taiwan (20%) e Thailandia (19%). Il Giappone pagherà il 15% come l’Unione europea, ma non è poco. La Toyota calcola già che dovrà pagare quasi 10 miliardi di dollari l’anno. A sorpresa è stata colpita anche la Svizzera con il 39% e sembra che Trump ce l’abbia soprattutto con gli orologi e l’oro.
Particolarmente punita l’India che Trump mira a penalizzare per il suo acquisto di petrolio dalla Russia raddoppiando l’aliquota al 50% dal 27 agosto. Mosca, invece, grazie alla vendita del greggio, anche all’Europa, può continuare a finanziare la guerra di aggressione contro l’Ucraina. La Cina ha accettato tariffe del 20%, ma ha ottenuto in cambio il via libera all’export di minerali strategici che per Pechino sono particolarmente importanti.
L’India, il Paese più popoloso al mondo, era stato considerato dai precedenti Presidenti americani come un interlocutore privilegiato nella competizione strategica con la Cina, adesso viene ritenuto un nemico. Il costo delle tariffe rischia di rendere impraticabile l’export verso gli Usa, sostengono gli indiani, i quali per reazione si stanno avvicinando alla Cina con la quale condividono un confine lungo 3.380 chilometri e finora è stata considerata una potenza rivale. Il Premier Narendra Modi si recherà a Pechino, un chiaro messaggio a Donald Trump.
Le merci provenienti da Messico e Canada sono invece esenti da dazi doganali se conformi all’accordo di libero scambio che ha sostituito il Nafta. In caso contrario, i beni prodotti in Messico sono soggette a balzelli del 25%, e dal Canada del 35%. I dazi sono infatti già costati alle case automobilistiche statunitensi che hanno tutte stabilimenti in Messico e in Canada circa 12 miliardi di dollari, il colpo più duro al settore dalla pandemia in poi, scrive il Wall Street Journal. E se le aziende per ora hanno aumentato solo leggermente i prezzi per rientrare dei costi, presto saranno costrette a fare altrimenti.
Con l’Unione europea il Presidente americano ha fatto quel che ha voluto per la debolezza della risposta di Bruxelles. Ha imposto il 15% e non solo. L’Ue dovrà investire 600 miliardi di euro negli Stati Uniti e spendere ben 750 in gas e petrolio americano. Una cifra che sembra del tutto irrealistica, si tratta di raddoppiare le attuali importazioni a prezzi che sono fuori mercato rispetto ad esempio al metano che arriva attraverso i gasdotti dalla Norvegia, dal Nord Africa e dal Medio Oriente.

Già oggi l’Ue compra il 45% del gas dagli Usa in forma liquefatta, per circa 51 miliardi di dollari, anche se diventasse il 100% potrebbe arrivare a 100 miliardi l’anno, quanto al petrolio Usa nel 2024 si è già a 40 miliardi, come sia uscita fuori la cifra complessiva di 750 miliardi sia pure in più anni resta ancora un mistero.
Se vogliamo trovare una logica economica dobbiamo pensare che Trump voglia salvare i petrolieri americani, soprattutto quelli dello shale gas e sale oli (estratti da rocce porose con la tecnica della frantumazione idraulica) fortemente indebitati, per i quali solo un prezzo equivalente a 90 dollari al barile può essere profittevole. Oggi il West Texas è a 62 dollari e il Brent a 66 dollari il barile.
E non è finita qui. Manca ancora una dichiarazione congiunta, quindi non è noto quali saranno i beni esenti (si parla di aerei e loro componenti, alcuni prodotti chimici, le materie prime e alcuni prodotti agricoli, tra cui il vino) e se è previsto un meccanismo di quote per salvare acciaio e alluminio, tassati al 50%. In più c’è l’incognita dei farmaci con la minaccia di tassarli fino al 250%.
L’impatto dei dazi finora non è stato attutito da diversi fattori: le scorte accumulate dalle aziende, le forniture ordinate con anticipo, la decisione delle società di assorbire gli aumenti. Sui listini autunnali già pronti si vede tuttavia un netto peggioramento.
Secondo il Budget Lab di Yale, gli americani vedranno un’imposta media del 18,3% sui prodotti importati, l’aliquota più alta dal 1934. Il centro di ricerca politica indipendente ha stimato che i prezzi aumenteranno dell’1,8% nel breve termine a causa della guerra commerciale di Trump, con una perdita di reddito di 2.400 dollari per famiglia solo nel 2025.
Il Presidente ha esultato dicendo che sta arrivando in America una pioggia di dollari, in realtà è una tassa che chi importa scarica sul prezzo finale, con un impatto in primo sulla inflazione e sul potere d’acquisto dei consumatori. Se la domanda interna si riduce e quella internazionale è compressa dalle tariffe americane, la conclusione logica è che anche l’insieme dell’economia è destinata a rallentare. Le stime, anche quelle del Fmi, variano: a maggio era stimato in mezzo punto percentuale, oggi sembra un ottimismo mal riposto.
Ma c’è anche un aspetto destinato a rendere più inquietante l’intero quadro: l’uso politico dei dazi che diventa nelle mani di Trump un uso spesso irrazionale, basato sugli umori del momento e su una logica amico-nemico imprevedibile perché l’amico di oggi può diventare il nemico di domani.
I super dazi contro il Brasile sono stati una punizione contro Lula e un sostegno a Bolsonaro il quale è agli arresti accusato di aver tentato un colpo di Stato. Ma per la pressione delle grandi corporation americane sono stati esentati aeroplani, combustibili, metalli e persino il succo d’arancia. Pensiamo al Canada da sempre strettamente integrato agli Stati Uniti, diventato adesso un nemico da combattere e annettere magari con un’invasione alla russa.
C’è davvero del metodo in questa follia?
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